Nel 1751, Carlo III di Borbone volle ospitare, in un’unica grande struttura, tutti i poveri, gli orfani e i mendicanti del Regno; una delle categorie che più stava a cuore al Re era costituita dai veterani di guerra tornati mutilati: chi aveva servito la Patria, aveva diritto ad essere assistito e servito egli stesso. La struttura, detta anche Palazzo Fuga, “‘O Reclusorio e “‘O Serraglio”, disegnata dall’Architetto Ferdinando Fuga, risulta essere tra le più grandi al mondo, nonostante non fosse del tutto completa rispetto al progetto iniziale. I suoi numeri: oltre 350 metri di larghezza per la facciata; 9 chilometri di sviluppo lineare dei corridoi; 430 e più stanze distribuite su 4 livelli; 8 metri l’altezza della sala più maestosa; 100 mila metri quadrati di superficie utile. Un edificio tipicamente illuminista, simbolo della “pietà illuminata” che condusse l’operato dei sovrani borbonici, rivolto all’accoglienza della popolazione più povera del Regno. La struttura riusciva ad ospitare circa ottomila sudditi. Come centro di osservazione minorile, comprendeva due giardini, due palestre, l’infermeria, un refettorio con cucina, un’officina, un laboratorio artigianale, una scuola elementare ed una di psicotecnica, la direzione didattica e vaste camerate dove dormivano gli ospiti. Questo lavoro, insieme ad altri progetti, dovevano rendere Napoli una città modello rinascimentale. Tra le altre attività ricoperte, vanno ricordate: la scuola di musica, il centro di correzione giovanile, la scuola per sordomuti, il carcere ed il manicomio, l’accoglienza dei diseredati, l’accoglienza delle donne perdute. Tutto ciò senza perdere mai l’impronta caritatevole originaria. Gli ospiti del palazzo, suddivisi per sesso ed età, venivano guidati in un percorso che li avrebbe portati ad una formazione vera e propria nel campo lavorativo. Il programma di reinserimento dei poveri era così articolato: i maschi si dedicavano allo studio della grammatica, della matematica, della musica, del disegno o all’apprendimento di mestieri manuali come il sarto, lo stampatore, il calzolaio, il tessitore e il meccanico; le donne, oltre che allo studio, venivano formate nel campo della tessitura e della sartoria. Alle spese che comportava tale entità contribuirono il Re Carlo III, la stessa Regina Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche: il tutto per l’ammontare di un milione di ducati. Il periodo di maggior splendore si ebbe sotto la direzione di Antonio Sancio, che seppe sfruttare al massimo le capacità intellettive e lavorative dei giovani.
Fonte: "vesuviolive.it"
Fonte immagine: "vesuviolive.it"