Il Museo Abbaziale di Montevergine, frazione del comune di Mercogliano (Avellino), collocato nell'Abbazia di Montevergine, è stato aperto al pubblico il 21 settembre 1968, per conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico, proveniente dall'abbazia e dal territorio diocesano. Nel 1764, l'abate Matteo Jacuzio raccoglieva e disponeva, in un corridoio sito presso la portineria e il cosiddetto "Chiostro dei Corvi", vari reperti lapidei, in prevalenza d'età romana e medioevale, ricordandone la sistemazione con un'epigrafe che ne celebrava il recupero e l'allestimento. Da questa iscrizione comprendiamo come in realtà i marmi antichi riuniti ed esposti dall'abate fossero in realtà già prima del 1764 presenti e conservati all'interno del monastero. Tuttavia, nella sua opera più nota, il Brevilogio della cronica ed istoria dell'insigne santuario reale di Montevergine (1777), egli ricorda come i marmi medioevali da lui raccolti, insieme a quelli antichi nel "museo", fossero pervenuti nel chiostro a seguito delle trasformazioni interne dell'Abbazia in età barocca. Il museo rimaneva dunque, in quel periodo, a tutti gli effetti ed esclusivamente un lapidario. Il progetto di riunire assieme marmi e dipinti, ma anche oggetti liturgici, documenti d'archivio, ex voto, arazzi, paramenti sacri, sculture ed arredi, risale invece al secondo dopoguerra, e più precisamente alla fine degli anni Cinquanta del XX secolo, sotto il "governo" dell'abate Anselmo Ludovico Tranfaglia e con la determinante collaborazione della Soprintendenza della Campania. Se ne prevedeva inizialmente l'apertura nel settembre del 1967, ma l'inaugurazione fu poi rimandata al 21 settembre 1968. Il risultato è dettagliatamente descritto dal padre Mongelli nella Guida storico-artistica del santuario di Montevergine (1969): all'ingresso, dal lato del chiostro, erano esposti i sepolcri di Cassiodoro Simeoni, di Andrea de Candida, di Bertrand de Lautrec, il sarcofago romano di Minio Proculo, il lavabo da sagrestia del XVII secolo e la statua di Santa Rosalia; nella prima sala erano conservati i reperti archeologici di età romana e medioevale, fra i quali i capitelli a stampella e i frammenti degli amboni del XIII secolo; nella "sala grande" erano custoditi tutti i dipinti, dalla Madonna di San Guglielmo da Vercelli e l'ex voto di Margherita di Savoia alle opere sei-settecentesche, ma anche la Cattedra abbaziale e la statua lignea di Gesù Cristo crocifisso schiodato, i sepolcri dei Lagonissa ed una teca con gli oggetti liturgici; la terza sala, più piccola, era attrezzata con vetrine contenenti paramenti sacri, oreficerie e documenti.
Fonte: "cathopedia.org"
Fonte immagine: "beweb.chiesacattolica.it"