Nonostante lo strano restauro che le ha praticamente cambiato aspetto, la dogana borbonica calena, oltre ad essere stata una importante sentinella a guardia del valico per Capua, conserva un grande segreto: fu qui, non nel Palazzo baronale, che si sistemò Giuseppe Garibaldi il 26 ottobre del 1860. Un luogo sicuramente più povero ed angusto, ma strategicamente più idoneo. In questi quattro metri quadri, nell’antico corpo di guardia dei Carabinieri reali, Garibaldi ricevette la Deputazione palermitana che lo invitava sull’isola. Da una corrispondenza di guerra: “Erano le 8 della sera, Garibaldi era lì: gli è toccato di alloggiare nell’antico corpo di guardia de’ Carabinieri. Noi lo trovammo in questo. Figuratevi, una sola stanza quadra, con il tetto a cupola bassa. Le pareti nere, nerissime dal fumo; non pavimento, ma nuda terra sotto i piedi, non sedie, non letti, nemmeno quel che già vi doveva essere, tavolati per istendervisi su e dormire. Garibaldi ci ha ricevuto in questa sua dimora di quella notte. Sedeva su una scranna di corda, posando le braccia su un tavolo di legno fracido, con un lume di rame che mandava per cattivo olio una luce affumicata. Garibaldi ci accolse con quell’affetto che è proprio di lui. Aveva il suo solito cappello in testa. Dalle braccia gli traspariva il suo plaid scozzese, e dalle spalle e sul collo gli scendeva sul largo petto uno sciallo di lana grigio. Disse aver caro che questa Deputazione che viene per Re Vittorio Emanuele si fosse ricordata di lui. Non avea che offrirci; se volessimo sigari, egli non aveane che uno. Noi gli dicemmo che la Deputazione avea portato seco le medaglie che il Municipio di Palermo ha fatto coniare per gli ottocento sbarcati con lui a Marsala, e avea anco portato, per presentargliela, la spada che gli offrono i Palermitani. È la stessa spada che in Firenze era stata fatta per Carlo Alberto; la gradisse quindi di più. Ei ringraziò noi e ci commise di ringraziare i Palermitani, popolo pieno, disse, di entusiasmo e di fermezza. Vedrete, aggiunse, il Re Vittorio; vedrete un vero galantuomo, io lo amo come un fratello, sarete certo contenti. Ecco poi una sua lettera. La aperse: era un foglio tutto scritto di mano del Re. Gli diceva di averlo cercato tutta la giornata, ed essere dolente di non averlo potuto vedere: che domani egli avrebbe attaccato i Borbonici sul Garigliano e sperava di ricacciarli e passare il fiume verso Capua. Il Re dava, nella lettera, del “lei” a Garibaldi. Garibaldi la leggeva commosso”.
Fonte: "calvirisorta.com"
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