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Dio Nilo

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Descrizione

Il culto del Dio Nilo ha da sempre fatto parte della cultura popolare napoletana, fin da quando esso venne introdotto per la prima volta in città, verosimilmente nel II secolo d.C. È rappresentato come un vecchio che giace disteso sulle onde del fiume, seminudo, possente e muscoloso, col viso arricchito da una saggia barba lunga. Si appoggia col braccio sinistro su una piccola sfinge - a ricordare il luogo di provenienza - che gli nasconde la mano, mentre con la destra mantiene una cornucopia, da sempre simbolo di ricchezza e prosperità, adornata con fiori (tra i quali il loto, caro agli Egizi) ed elementi di varia natura, simbolo della fertilità caratteristica del fiume egizio di cui porta il nome. La simbologia è rafforzata dalla presenza di un bambino, che sembra volersi arrampicare sul petto del Dio, probabilmente raffigurante un affluente del fiume. La storia della statua si colora di note avventurose: per cause varie, forse per l'ostilità della religione ufficiale verso i culti paralleli o addirittura contrari alle credenze riconosciute (si fa riferimento, in particolare, a quelli dedicati ad Iside, famosissimi ma paradossalmente segreti), la statua del Dio Nilo fu spodestata e perduta. Dopo vari secoli di oblìo, verso la metà del XIII secolo, durante gli scavi delle fondamenta della sede del seggio (o Sedile) regionale, sebbene senza testa e deteriorata, la scultura marmorea fu ritrovata e riconosciuta come quella del Dio Nilo, il cui nome fu dato anche al seggio e, così, collocata all'angolo esterno dell'edificio. Ripiombata successivamente nell'oblìo, fu di nuovo riscoperta nel 1476, durante i lavori di demolizione di parte dell'antico edificio del seggio del Nilo, ormai fatiscente. Mancando della testa e per i putti attaccati al seno, la statua fu descritta nella “Chronica di Partenope” come “una donna bellissima che nutre cinque figli”, a simboleggiare la città madre che allatta i propri figli; il culto alimentò la leggenda del “Corpo di Napoli”, (in napoletano Cuorp ‘e Napule), che si estese al Largo dove la statua è tuttora ubicata. I vari restauri, di cui l’ultimo nel 2014, hanno restituito la scultura non solo nella sua interezza fisica, ma anche nella sua verità storica. Il primo fu eseguito nel 1657: integrò la statua con la testa del Dio barbuto, sostituì il braccio destro apportandovi una cornucopia e aggiunse la testa di un coccodrillo presso i piedi e quella di una sfinge, sotto il braccio sinistro con tre putti. Sul basamento fu posta un'epigrafe a ricordo. A seguito della perdita di questa prima epigrafe e di danneggiamento della statua, nel 1734 fu posta la lapide dettata da Matteo Egizio su cui è incisa, in latino, la storia della plurimillenaria scultura. Ulteriori restauri furono eseguiti tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del XIX dallo scultore Angelo Viva, un giovane allievo di Giuseppe Sanmartino. Durante il secondo dopoguerra, due dei tre putti che circondavano in basso la divinità nonché la testa della sfinge che caratterizzava il blocco di marmo furono staccati e rubati. La testa della sfinge verrà ritrovata nel 2013 in Austria, dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri, e riposizionata.
Fonte: "centrostudiscienzeantichena.it"
Fonte immagine: "campaniacrbc.it"

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