La Chiesa di Santa Maria del Popolo degli Incurabili risale agli anni di fondazione dell’Ospedale, a ridosso del 1519. Se datiamo al 23 marzo del 1522 la processione che vide i malati, con a capo Maria Lorenza Longo, trasferirsi da San Giovanni al Mare al nuovo nosocomio appena eretto sulla collina di Caponapoli, dobbiamo immaginare che in quell’anno la Chiesa era già pronta, dato l’obbligo della partecipazione alle cerimonie religiose imposto ai ricoverati. Il tempio presenta un’unica navata, con altari laterali ad edicola. I dipinti che arredavano la Chiesa sono oggi conservati nella Farmacia degli Incurabili. Restano, invece, in buone condizioni i brillanti stucchi che creano un leggero effetto di raffinato ricamo, realizzati nel corso del Settecento, e gli affreschi, purtroppo ridotti a larve, eseguiti da Belisario Corinzio tra il 1609 ed il 1610, negli anni dell’ampliamento della struttura che vide lo sviluppo del coro. “1609” è la data che si legge infatti sulla campana conservata nella Farmacia dell’Ospedale e che fu fusa da Bartolomeo Accresca per la nuova Chiesa, ingrandita per poter accogliere i malati sempre più numerosi. Ai lati dell’altare maggiore campeggiano i due monumenti funebri, rispettivamente di Andrea di Capua e del figlio Ferdinando, commissionati a Giovanni da Nola nel 1531 per volontà di Maria d’Ayerba, Duchessa di Termoli. La d’Ayerba è considerata una figura centrale nella storia dell’Ospedale degli Incurabili, in quanto compagna e partner della Longo, la quale a lei lasciò la gestione della Santa Casa dopo il ritiro in convento. Superato l’altare maggiore ed il coro ligneo, si accede, a sinistra, alla preziosa ed elegante sacrestìa seicentesca, che conserva ancora l’arredo ligneo originario. Sul soffitto, un tempo era collocata la tela di Giovan Battista Rossi raffigurante “Santa Maria del Popolo”, oggi nella Quadreria della Farmacia. La qualità ed il pregio degli intagli fanno da cornice ad una serie di sculture lignee settecentesche provenienti dall’Ospedale di Santa Maria della Pace. Rientrando in Chiesa e percorrendo la navata a ritroso, si possono ammirare le numerose epigrafi, ancora in sito, integralmente trascritte dalle guide storiche della città a partire dal Celano. Dell’organo settecentesco, un tempo sulla controfacciata, sopravvivono le due cariatidi in legno dorato. Così come sopravvive, sul primo altare a destra entrando in Chiesa, la cornice mistilinea in marmo della tela di Battistello Caracciolo, raffigurante “Il Cristo portacroce”, oggi al Museo di Capodimonte. Una volta, si diceva che all’interno della Cappella di Santa Maria dei Bianchi, altro edificio sacro inglobato nel complesso degli Incurabili, venissero conservate le corde degli impiccati. I Confratelli – chiamati Bianchi per “la veste talare di lino col cappuccio, cingolo, cappello e scarpe bianche, tutte di una istessa qualità” - le sottraevano al boia perché non ne facesse macabro e superstizioso oggetto di commercio, come era avvenuto in passato: i carnefici usavano barattare con il popolo pezzi di corda dei giustiziati per impiccagione come amuleti. Sull’altare della Cappella, si trova una statua di Giovanni da Nola, “La Vergine”; nella sacrestìa, sono raffigurati alcuni volti dei membri della Congrega, opere di Paolo de Matteis.
Fonte: "museoartisanitarie.it”
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