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Chiesa di Sant'Antonio Abate

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Descrizione

La Chiesa di Sant’Antonio Abate è piuttosto antica, anche se, nel corso dei secoli, con i restauri è stata di molto ammodernata; si trova all’inizio dell’omonimo borgo, mentre l’ingresso del tempio è in via Foria, quasi alla fine della strada, nel punto in cui incrocia piazza Carlo III, di fronte al Real Albergo dei Poveri. La tradizione vuole che la Chiesa sia sorta per volontà della Regina Giovanna I d’Angiò; in realtà, però, un diploma (documento che comprova la concessione di un privilegio) di Re Roberto d’Angiò attesta che, già nel marzo del 1313, esistevano sia la Chiesa che l’ospedale. A rafforzare questa prova è il fatto che all’ospedale venivano curati gli infermi affetti dal morbo detto “Fuoco sacro” o anche, come ancora oggi è noto, il “Fuoco di Sant’Antonio”: una malattia della pelle, l’odierno Herpes Zoster, che colpiva bambini ed adolescenti dai due ai quattordici anni. Molto più attendibile è, invece, il fatto che gli originari edifici fossero stati realizzati tra la metà e la fine del 1200 e che la Regina Giovanna I, grazie al finanziamento di somme destinate ad un programma di edilizia religiosa e assistenziale, da lei stessa elargito, verso il 1370 abbia voluto il loro ampliamento, soprattutto quello della Chiesa, allo scopo di contenere il grande flusso di fedeli, sempre più crescente, che si riversava nella vicina chiesa dedicata a Santa Brigida di Svezia, alla quale venivano attribuiti portentosi prodigi e miracolose guarigioni. Anche una gran quantità di “ex-voto”, unitamente ad arredi e suppellettili sacri, furono trasferiti nei nuovi locali dell’ampliata Chiesa di Sant’Antonio Abate. Nel corso dei secoli, l’intero complesso ha subìto diverse modificazioni, soprattutto ad opera del Cardinale Antonino Sersale, Arcivescovo di Napoli. Sant’Antonio Abate era molto noto perché era ed è il Patrono dei macellai e dei contadini, nonché il Protettore degli animali domestici e, soprattutto, amico dei  maialini, tanto che, quasi sempre, viene effigiato con accanto un maiale con al collo una campanella. A Napoli, come in gran parte del Meridione d’Italia, Sant’Antonio Abate è eccezionalmente chiamato “Sant’Antuono”, per distinguerlo da Sant’Antonio da Padova. Il 17 gennaio, secondo la tradizione, la Chiesa benedice le stalle e gli animali in esse contenuti, invocando la protezione del Santo; lo stesso giorno, ogni anno, vi sono i festeggiamenti in suo onore. Egli viene celebrato con roghi (falò) ardenti, accesi dopo un segnale dato con l’accensione di tre fuochi d’artificio. Durante i festeggiamenti si mangiano salsicce e si beve vino rosso, ballando intorno al fuoco; il rituale è di buon augurio per l’anno nuovo appena iniziato e un detto napoletano dice: “Chi festeggia Sant’Antuono, tutto l’anno ‘o pass’ bbuon!” (Chi festeggia Sant’Antuono, tutto l’anno lo trascorre bene!). I Monaci Antoniani, che prestavano assistenza ospedaliera, preparavano la sacra tintura, un unguento ricavato dal grasso del maiale, che veniva usata per curare l’Herpes Zoster; tra il popolino napoletano si estese, così, la voglia e l’abitudine di allevare maialini per donarli al Monastero. L’ordine dei Frati Antoniani fu bandito, poi, dagli Aragonesi, agli albori del 1400, perché ritenevano che questi Monaci simpatizzavano troppo con i loro protettori francesi, gli Angioini. Nonostante tutto, l’usanza dell’allevamento dei maialini e della loro donazione da parte del popolo andò avanti fino al 1665, allorquando, un buffo episodio accaduto durante una processione, fece dichiarare illegale l’allevamento dei suini presso la popolazione e presso i Monaci: un maialino si intrufolò tra le gambe del Vescovo, facendolo infuriare in modo assurdo ed inverosimile.
Fonte: "santuariditalia.it"
Fonte immagine: "it.wikipedia.org"

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