Sono poche le fonti di questa Chiesa, perché tutto quanto riguardante la Parrocchia venne bruciato al tempo della peste, che nell'anno 1656 afflisse Sant’Agata. Infatti, il Parroco dell'epoca, Giovanni Tommaso Pastena, fu colpito dalla peste e trapassò; per timore del contagio, i domestici bruciarono anche tutte le carte ed i libri parrocchiali. Intorno alla fondazione della Chiesa vi è un'antica leggenda: si narra che la figlioletta di un tal Marcantonio Festinese fu rapita da un lupo e che egli avesse fatto voto alla Vergine di innalzarle un tempio, nel luogo ove la bestia avesse lasciata incolume la bambina. Avendo trovato la figliola sana e salva presso Sant’Agata, vi avrebbe fatto quindi realizzare l’edificio promesso. La prima notizia della Chiesa è del 1475, e fino a tutto il XVI secolo essa era chiamata Santa Maria di Casafestina, a ricordare il nome del fondatore. Fu eretta in Parrocchia nel 1566 da Pio V, ed allora si pensò di rifarla più ampia e più bella. I lavori furono terminati sotto il Vescovo Monsignor Centino, il quale consacrò il nuovo tempio il 21 dicembre 1625, e verso il 1629 ne concesse le cappelle alle famiglie artefici della rifazione. La Chiesa fu sempre libera da collazione, ma nell'anno 1798, con Reale Rescritto e con altro sovrano decreto del 29 maggio 1822, per effetto di dotazione fatto alla stessa di alcuni beni appartenenti al demanio da sua Maestà Ferdinando I, fu dichiarato di Regio Patronato. Essa è sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie ma la festa principale è quella dell'Assunta. Molto ampia e di corretta architettura, è costruita a croce latina ad una sola nave con volta e cupola sulla crociera. Al lato destro di chi entra in Chiesa si eleva il campanile, che tiene due campane. All’interno dell’edificio sacro vi sono un organo, un pulpito, nove sepolture delle quali quattro patronate ed una dei Preti dietro l'altare maggiore. Vi è una piccola sacrestììa, rifatta nel 1877. Vi è pure una Terra Santa, con ossario dove nei tempi passati venivano seppelliti i defunti. I poveri si tumulavano gratuitamente, i bambini senza battesimo si mettevano nei buchi esterni intorno le mura della Chiesa. Nel lato dell'Epistola, vi è il sepolcro di Giovan Battista Perrella, uno dei fondatori del luogo di culto. Molti sono i quadri di buoni artisti ivi custoditi, tra cui uno attribuito al Santafede ed un altro a Bernardino Siciliano. In sacresìa è conservato un piccolo quadro opera di un ottimo artista della scuola napoletana del Seicento. Ma l'opera più pregevole è senz'altro l'altare maggiore, lavoro di commesso in pietre dure, vaga espressione dell'arte fiorentina del XVI secolo. Oltre al gran valore di pietre, come le agate, le corniole e i lapislazzuli di cui tutto l'altare è composto, è pure grandissimo il pregio artistico di esso per la purezza e la correttezza del disegno, in cui si ammirano ornati con fiori e volute del più bel Rinascimento. Questo altare fu portato a Napoli fin dal tempo dei Medici, da una rinomata fabbrica di Firenze. Recenti studi, invece, hanno attribuito l'opera allo scultore napoletano Dionisio Lazzari, figlio di genitori fiorentini ed allievo di scultori, architetti e maestri marmorari tutti di provenienza toscana, come Tacca, Valentini, Nencioni, Naccherino e lo stesso padre Jacopo. I Padri Gerolamini che lo possedevano in Napoli, affinché non fosse loro sottratto, lo rinchiusero in un sotterraneo ed ivi fu dimenticato. Il Parroco di Sant’Agata, Don Giambattista Casola, trattò per acquistarlo e lo ebbe per poche centinaia di scudi, nel 1845, senza che i Padri si fossero data la pena di guardarlo, stimandolo opera di poco valore. Messe assieme le parti, benché mancassero alcuni pezzi laterali, questo altare levò gran rumore; alcuni uomini dell'arte stimarono un valore di 30 mila ducati. Allora i Gerolamini mossero lite al Casola, ma la giustizia gli diede ragione ed egli lo collocò al posto dell'altare maggiore della sua Chiesa. Il primo aprile 1984, fu rubato il prezioso busto di Sant'Agata, insieme ad altri oggetti sacri. L’opera del noto cesellatore Catello di Napoli era stata fusa e realizzata nel 1932, in piazza Sant’Agata. Quella operazione si ripeté nel 1985, con le stesse modalità, per rifare un nuovo busto della Santa, questa volta ad opera della figlia del cesellatore Catello. Proprio accanto alla Chiesa è l'Oratorio di Santa Maria del Rosario, che vi aderisce dal lato del Vangelo. Fu edificato nel 1673 e la Congrega che vi officiava aveva pure il patronato dell'altare di quel titolo, nella contigua Chiesa, ove celebrava prima che fosse eretto l'Oratorio. Per un certo periodo, nel secolo passato, fu adibito a cinema e teatro parrocchiale. La Congrega è stata ufficialmente riorganizzata nel 1989, con l'elezione a Priore del Signor Giovanni Russo. Nella sala delle riunioni, sull'altare, precedentemente vi era un quadro della “Madonna del Rosario”. Ora (2017), al suo posto vi è una tela di Nicola Cacciapuoti, tagliata alla base, raffigurante “L'Immacolata con San Carlo Borromeo e Santa Caterina Vergine e Martire”. Nella parte mancante vi erano le teste di un cavaliere e di un magistrato della famiglia Morvillo di Sant’Agata, che godevano il patronato della cappella. Sant’Agata nacque nei primi decenni del III secolo a Catania, in una ricca e nobile famiglia di fede cristiana. Verso i 15 anni volle consacrarsi a Dio. Il Vescovo di Catania accolse la sua richiesta e le impose il velo rosso, portato dalle vergini consacrate. Il Proconsole di Catania Quinziano ebbe l'occasione di vederla, se ne invaghì e in forza dell'editto di persecuzione dell'Imperatore Decio, l'accusò di vilipendio della religione di Stato, quindi ordinò che la portassero al Palazzo pretorio. I tentativi di seduzione da parte del Proconsole non ebbero alcun risultato. Furioso, l'uomo imbastì un processo contro di lei. Interrogata e torturata, Agata resisteva nella sua fede: Quinziano, al colmo del furore, le fece anche strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie. Ma la giovane, dopo una visione, fu guarita. Fu ordinato allora che venisse bruciata, ma un forte terremoto evitò il compimento dell’esecuzione. Il Proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in cella, dove morì qualche ora dopo. Era l’anno 251.
Fonte: "santagatasuiduegolfi.org"
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