La Chiesa di Santa Marta fu costruita alla fine del XIV secolo per volontà della Regina Margherita di Durazzo, su probabile progetto di Andrea Ciccione. Sorge all'incrocio tra via San Sebastiano e via Benedetto Croce (l’antico Decumano Inferiore). L'ingresso mostra l'impianto originario angioino: il portale presenta un arco ribassato “catalano”, in piperno e marmo; sempre al periodo angioino, risalgono anche le finestre gotiche (murate) sul lato che si affaccia di fronte al campanile della Basilica di Santa Chiara. L'interno si presenta a navata unica, con altari marmorei del XVIII secolo. Su quello maggiore si conserva un dipinto raffigurante “Santa Marta”, di Andrea e Nicola Vaccaro (1670). La restante decorazione e gli arredi (stucchi, ornati, pavimenti maiolicati ed arredi lignei) risalgono, invece, alla seconda metà del 1800. Sono custoditi, inoltre, alcuni dipinti d’epoca barocca: un “San Luca” (autore ignoto, 1651) nella seconda cappella a sinistra; il “Calvario” sul secondo altare a sinistra, attribuito ad Andrea d’Aste. Il “Codice di Santa Marta”, disciplinare della Confraternita, oggi è custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli e contiene gli stemmi dei confratelli, finemente miniati su pergamena. La Chiesa deve parte del suo fascino alle vicende storiche che sono all'origine della sua fondazione. Rimasta vedova alla morte di Carlo III (1386), Margherita di Durazzo fu costretta a difendere da sola la corona, ereditata dal figlio Ladislao ancora minore, contro le pretese di Luigi d'Angiò. Riconquistato il reame dopo anni di lotte, la Regina volle edificare un luogo sacro e dedicarlo all'eroina Santa Marta, in segno di ringraziamento. Marta viveva in un piccolo villaggio chiamato Betania. Maria e Lazzaro erano i suoi fratelli e assieme conobbero Gesù di Nazareth. La leggenda vuole che, dopo la Passione e la Resurrezione di quello che si era rivelato più di un uomo, Marta, Maria e Lazzaro lasciassero la loro terra d’origine perché perseguitati, con destinazione la Provenza, terra natale della Regina Margherita. Quello che i tre fratelli avevano visto, ascoltato e vissuto non poteva rimanere taciuto, e così Marta e i suoi fratelli iniziarono una convinta opera di evangelizzazione in Francia. Ma la tradizione si tinge di fiaba, e nella Provenza apparve un mostro. Una grotta del fiume Rodano partorì una creatura dalla testa di leone e il corpo di tartaruga spinata, una coda affilata come spada, zampe artigliate e squamate. Lo chiamavano “Tarasque” e si narra che devastò tanti villaggi provenzali. Marta era impavida, la sua fede la rendeva forte anche al cospetto di quella mostruosità. Se San Giorgio sconfisse il drago combattendo, a Marta bastò ammansirlo con la grazia della preghiera. Ad ogni Ave Maria recitata, il Tarasque diventava sempre più piccolo fino a diventare una lucertola inoffensiva. Il piccolo essere mostruoso fu condotto in una città che prese il nome di Tarascona, in memoria di quell’evento.
Fonte: "corpodinapoli.it - vesuviolive.it"
Fonte immagine: "vesuviolive.it"