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Chiesa di Santa Maria Donnaromita

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La scrittrice napoletana Matilde Serao, nel suo libro “Leggende Napoletane”, racconta: “La leggenda di Donna Albina, Donna Romita, Donna Regina, corre ancora per la lurida via di Mezzocannone, per le primitive rampe del Salvatore, per quella pacifica parte di Napoli vecchia che costeggia la Sapienza. Corre la leggenda per quelle vie, cade nel rigagnolo, si rialza, si eleva sino al cielo, discende, si attarda nelle umide e oscure navate delle chiese, mormora nei tristi giardini dei conventi, si disperde, si ritrova, si rinnovella – ed è sempre giovane, sempre fresca”. Secondo la Serao, Donna Romita era la figlia più piccola del Barone Toraldo e sorella di Regina e Albina. Romita aveva solo quindici anni, ma era già innamorata perdutamente di un cavaliere bello ma impossibile da aversi, di cui erano innamorate anche le germane, Don Filippo Capece. Presa dalla disperazione per il suo amore impossibile, salutò il padre, abbandonò la casa natìa insieme alle sue sorelle e decise di farsi Suora. Ognuna di loro fondò un monastero, che assunse il loro nome e in effetti ritroviamo un convento e una Chiesa di Santa Maria Donnaromita, situati in via Giovanni Paladino. In realtà, questi prenderebbero il nome da alcune donne “Romite”, che scapparono da Costantinopoli di Romania per sfuggire alle persecuzioni degli iconoclasti, arrivarono a Napoli ed eressero il complesso conventuale sotto il titolo dell’Assunzione della Madre di Dio, che però fu sempre identificato con l’origine geografica delle Suore e detto volgarmente “di Santa Maria delle Donne Romite di Costantinopoli”. Secondo l’archeologo Bartolomeo Capasso, invece, il nome deriverebbe dalla famiglia Aromata, che fondò il monastero intorno all’anno 1000. Un’altra testimonianza vuole il nome del complesso derivare dall’appellativo greco della Vergine, Donna Romatos, a cui le fondatrici erano devote. Ma la notizia più singolare è il caso che lega Donnaromita alla statua del Dio Nilo, che oggi ritroviamo in Largo Corpo di Napoli: quando i nobili del Sedile di Nilo decisero di edificare una nuova sede (1476), acquisirono parte del convento di Santa Maria Romita e dopo averla tirata giù, tra le macerie riapparve la millenaria statua del Dio Nilo (scoperta poi retrodatata da alcuni studiosi al XII secolo). La fondazione della Chiesa risale al XIV secolo, restaurata e riadattata nel XVI secolo da Giovanni Francesco di Palma, mentre Giovanni Vincenzo Della Monica si occupò, sempre nello stesso secolo, della realizzazione del convento con due chiostri. Quest’ultimo fu definitivamente soppresso nel 1808, per diventare sede di alcuni istituti dell’Università degli Studi di Napoli. L’ultimo restauro ad ampio respiro fu quello effettuato in seguito ai danneggiamenti subiti dal tempio, oggi sconsacrato, durante il secondo conflitto mondiale. L’interno si presenta con un’unica navata e dieci cappelle laterali, con un maestoso soffitto ligneo (1587-1590) disegnato da Giovanni Andrea Magliuolo e dipinto da Teodoro d’Errico. Sulla cupola diversi affreschi, tra i quali: il “Passaggio del Mar Rosso”, opera iniziata da Luca Giordano e portata a termine da Giuseppe Simonelli nel 1696; la “Vittoria degli Ebrei sul Re di Canaan col trionfo di Debora”, eseguito interamente dal Giordano e preceduto da una serie di bozzetti, oggi custoditi al Museo del Prado. Sulla controfacciata, invece, è posta “L’Adorazione dei Magi”, di Francesco De Mura, mentre lungo la navata, sempre dello stessa artista, si può ammirare un dipinto raffigurante “Le Virtù”. Nella zona absidale si trovano i resti dell’altare maggiore, opera dei fratelli Bartolomeo e Pietro Ghetti, ed il pavimento interamente rivestito di maioliche dai colori molto intensi, di Giuseppe Massa.
Fonte: "senzalinea.it - napoligrafia.it"
Fonte immagine: "ciaonapoli.com"

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