Nei pressi della Chiesa di Santa Maria della Consolazione, conosciuta anche col nome di Sant’Agostino, avvennero i primi rinvenimenti della città romana di Ercolano, distrutta dall'eruzione del Vesuvio assieme a Pompei. Come viene testimoniato nelle pagine “Della Regale accademia ercolanese dalla sua fondazione”, di Giuseppe Niccolò e F. Castaldi (1840), “un agricoltore gli riferì che nel vicino Comune di Resìna, poco dopo la Chiesa di Sant’Agostino, mentre cavava un pozzo in sua casa, aveva rinvenuto frammenti di marmo, che mostrati al Principe piacquero e furono accettati. Il famoso pozzo è situato 70 passi circa dopo la indicata Chiesa (verso Oriente), nella Strada Regia”. A quell'epoca, l’edificio sacro veniva detto di Sant'Agostino in memoria e onore dei Padri Scalzi Eremitani Agostiniani, che si erano stabiliti a Resìna prima del 1600. L'area, di proprietà del Convento, con gli orti si spingeva fino al mare; ad Ovest era delimitata dalla Strada Cecere, vicinissima al giardino del Palazzo Reale. La Chiesa è nota per la ricchezza delle opere d'arte in essa contenute, in parte trafugate di recente, per i preziosi marmi e soprattutto per l'architettura barocca. Il complesso fu edificato su un terreno che era detto “Le Camere”, toponimo che richiama probabilmente l'esistenza di ambienti ipogei, probabilmente già noti prima della scoperta della città romana. Quel terreno, compreso le abitazioni, i giardini, un uliveto e le fontane, ancor prima di venir destinato all'uso religioso appartenne ad un nobiluomo di Resìna, Don Alfonso Sanchez De Luna. La storia attesta che nel 1609, questi possedimenti furono acquistati da Scipione De Curtis, un ricco borghese di Napoli, che volle abbellirli creandovi dei percorsi e dei giardini ricchi di vegetazione e piante rare. Il 4 Gennaio 1613, il De Curtis donò ai padri Agostiniani Scalzi tutta la proprietà, ponendo una sola condizione: che su quel terreno venisse edificata una Chiesa ed un Convento, capace di ospitare dodici Frati. Così, su quello splendido appezzamento di terra, venne edificato uno dei più importanti complessi ecclesiali che la Strada Regia delle Calabrie avesse mai avuto. Durante il periodo borbonico, proprio nei pressi della Chiesa, sul lato nord della Strada Regia, venne rinvenuta una pietra miliare, che segnava il sesto miglio da Napoli e che risaliva all'Imperatore Adriano (I-II secolo d.C.). Successivamente, nel periodo napoleonico, i Frati vennero cacciati dal Convento e molte opere d'arte vennero trafugate. Nel 1815, il complesso venne rilevato dai Monaci di San Martino di Napoli e nel 1836 passò ai Padri di San Vincenzo de' Paoli. La facciata del tempio risale alla prima metà del Settecento ma i lavori finirono solo ai primi dell’Ottocento: si presenta semplice e geometrica. Gli ultimi definitivi lavori di abbellimento della struttura furono terminati nel 1930. L’interno segue i dettami del Barocco maturo, ma con evidenti richiami all'architettura del maturo Rinascimento, come mostra la scelta dei capitelli corinzi compositi e la presenza di cappelle laterali, frutto delle nuove direttive liturgiche dettate dalla Controriforma. L’interno si presenta ad aula unica con volte a botte, alta ben 14 metri, ornata da un soffitto con affreschi (scene del Nuovo Testamento) di Gennaro Palumbo, del 1890, incorniciati da decorazioni a stucco di colore bianco o dorato. L’abside ospita - oltre all'altare-mensa, ricavato dai marmi delle balaustre all'indomani della riforma liturgica promulgata con il Concilio Vaticano II - un imponente organo polifonico e il settecentesco altare maggiore in marmo policromo, con colonnine marmoree che incorniciano l’icona della Madonna della Consolazione con in braccio Gesù; è l’opera più antica conservata nella Chiesa. Tra le tele rimaste, va ricordata “La fuga in Egitto”, che molti critici attribuiscono allo Zingarelli. Qui lavorò anche Luca Giordano, dipingendo la bellissima tela di “Sant'Agostino” e quella della “Vergine”. Quattro sono gli altari secondari ed in esse sono contenute opere di grande valore artistico, attribuite a Giordano e a Solimena. In un contesto di particolare armonia, lo spazio centrale della Chiesa ospita una copia seicentesca di un dipinto su tela, di epoca bizantina, raffigurante la “Madonna della Consolazione”, da cui l’edificio prende il nome.
Fonte: "cassiciaco.it"
Fonte immagine: "polveredilapislazzuli.blogspot.it"