Dieci anni dopo la fondazione di una prima cappella scavata nella roccia dal Francescano riformato Filippo San Giorgio da Perugia, che qui si dice venne a ripararsi dalle tentazioni del mondo nell'anno 1574, la Chiesa vera e propria iniziò a conoscersi col titolo di Santa Maria alla Parete; forse per l'effige della Vergine fatta dipingere su di una parete assai liscia. Piuttosto invece, pare detta “a Parete” per esser stata appunto dalla Parete estratta una grossa porzione dell’attuale tempio. Venne eretta su disegno di Giovan Battista Cavagna, a partire dal 1582, epoca in cui alla costruzione degli edifici religiosi veniva anteposta la necessità di occupar meno spazio possibile e quel poco di spazio andava insediato possibilmente lontano da salti di quota, su pendenze o in prossimità dei declivi, dirupi e speroni di roccia. Quindi, lo schema planimetrico della Chiesa di Santa Maria Apparente, detto pure a “pianta combinata”, è un modello assai diffuso a Napoli nel XVI secolo, in anticipo rispetto alle soluzioni ingegnose del Valeriano per il palazzo dei Sanseverino e del teatino Grimaldi per la chiesa di San Francesco a Porta Capuana. La costruzione delle chiese, tenendo conto l'allungamento di queste in senso orizzontale, in aree piccole, irregolari e malformate, insistendo sullo schema delle piante dette centrali, lascia in cambio il vantaggio di ottenere una fabbrica con adeguati numeri di altari ed un coro già ampio; giustapponendo a questo l'asse longitudinale, è possibile ottenere l'effetto di una Chiesa grande, sufficiente, “a quinconce” per le edificazioni che si sarebbero dovute ottenere, fatta la premessa di affrontare naturalissimi salti di quota. Il prospetto, da un punto di vista tettonico, venne riprodotto quasi fedelmente ai piedi della “Vergine Santa”, quadro che un tempo venne alloggiato sull'altare maggiore. Lo sconvolgente terremoto del 1738 costrinse i Frati a riparare i danni subìti e per questa simile occasione la Chiesa venne letteralmente riordinata, interessando principalmente il presbiterio e la cona divenuta in pregevole stucco; spuntarono pure due nicchie laterali, ad accogliere le statue dei Santi Giuseppe e Gioacchino. La conclusione, col timpano spezzato e ricurvo, richiama fortemente la basilica di San Lorenzo Maggiore ai Tribunali. Al riordino partecipò pure lo stupendo altare maggiore, “ornato tutto di diversi marmi, con predella, scalini e balaustrata a traforo”, impreziosito dalle abili mani delle maestranze sanfeliciane, oltre ai nuovissimi stalli in legno di noce. Nel 1785, i Frati vennero cacciati via dall’edificio di culto, mutato in aspra galera per i ladri e i prigionieri politici, tra i quali i nomi eccellenti di Luigi Settembrini e Carlo Poerio. Negli anni dieci del Novecento napoletano, il carcere venne chiuso e lasciato che divenisse un'abitazione privata. Ammirevoli le opere d'arte che in questa Chiesa ricoverarono fino alla fine degli anni venti del '900; lo stupendo e meraviglioso dipinto all'abside ”Madonna coi Santi Francesco e Antonio”, del 1611 di Giulio Dell'Oca; il quadro con ”Maria, Giuseppe, Sant'Anna e San Gioacchino”, di autore anonimo; attribuiti, forse addirittura firmati, i quadri di Onofrio Palumbo (“Crocefissione”, sull'altare nella seconda cappella a sinistra) e di Francesco Di Maria (“San Samuele”, a destra dell'ingresso).
Fonte: "storiacity.it"
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