Il colle su cui si erge il Castello di Rupecanina, a cavallo dei territori dei Comuni di Sant’Angelo d’Alife e Raviscanina, era, nel Medioevo, strategicamente ben posizionato nell’ambito dell’assetto viario della Media Valle del Volturno, essendo ubicato presso una diramazione della via Latina e in un punto nodale rispetto ai traffici che si articolavano tra Roma e Benevento. L’importanza dell’insediamento, peraltro, è rimarcata dalle fonti storiche, che sebbene risultino mute in riferimento alle prime fasi di occupazione del colle, forniscono preziose informazioni in riferimento all’età normanna. Nel 1135, quando il controllo esercitato sul territorio circostante da parte del Castello di Rupecanina aveva raggiunto il suo apice, si verificò un evento drammatico. Nell’ambito delle battaglie da lui condotte per instaurare un’egemonia su tutta l’Italia meridionale ed istituire un regno unificato, infatti, Ruggero II mosse contro Rainulfo di Drengot, Conte normanno di Alife e Caiazzo, e ne conquistò gli avamposti militari, incluso il “castrum” di Rupecanina. Lo smembramento della contea, avviato da Ruggero, determinò l’infeudamento della rocca che, stando al “Catalogus baronum”, passò sotto il controllo di Raino di Prata Sannita. I restauri delle strutture, successivamente operati sotto Federico II, dimostrano che il Castello di Rupecanina era nuovamente considerato avamposto fondamentale per il controllo del territorio circostante, al punto che, per qualche tempo, la sua gestione fu affidata all’Ordine Teutonico. In età angioina fu nuovamente concesso in feudo, alla famiglia Marzano, e dopo un periodo di grande espansione (tra il XIII ed il XIV secolo), fu definitivamente distrutto (1437) da Giovanni Maria Vitelleschi, nell’ambito degli scontri tra l’esercito pontificio e Roberto d’Angiò. Abitato per almeno quattro secoli (dalla fine del X al XV secolo), l’insediamento fortificato era composto di una doppia cinta muraria che racchiudeva, rispettivamente, il nucleo palaziale d’altura (vi faceva parte il mastio quadrangolare già restaurato da Martone negli anni ’60 e la chiesetta oggi dedicata a Santa Lucia) e il villaggio abbarbicato sui versanti attorno ad esso. L’eccezionalità del contesto archeologico, determinata dall’importanza storica dell’insediamento e delle sue vestigia monumentali, nonché dalla circostanza che il sito non ha subito manomissioni nel corso dei secoli che seguirono l’abbandono, ha consentito la progettazione di interventi di ricerca di lunga durata. Avviate nel 2001, le indagini archeologiche sono tuttora in corso e coinvolgono, annualmente, decine di studiosi che operano presso il sito fortificato e i Laboratori di Archeologia Tardonatica e Medievale dell’Ateneo partenopeo, ubicati nel comune di Piedimonte Matese, presso i locali dell’Associazione Storica del Medio Volturno.
Fonte: "academia.edu"
Fonte immagine: "minniti.info -panoramio.com"