Situato su una collina a Nord-Ovest di Avella, a quota 320 metri sul livello del mare, domina la valle e consente di godere del panorama offerto dal Golfo di Napoli. Secondo la tradizione, sorgerebbe sulle rovine di un tempio pagano consacrato da Ercole. Rappresenta la sintesi delle tecniche costruttive militari, in quanto evidenzia la presenza di una cinta muraria con torrette di epoca longobarda, una seconda cinta muraria di epoca normanna, la torre cilindrica tipicamente angioina. Del monumento rimangono tracce anche del 'palatium' e di un'ampia cisterna per l'approvvigionamento idrico. Importante, poi, il Cippo Onorario 'L. E. Invento', un blocco di pietra calcarea databile attorno al 170 a.C. e dedicato a Lucio Egnazio. Su di un lato, è visibile uno schema dell'anfiteatro (con 'ima', 'media' e 'summa cavea') e, sull'altro, due lottatori. Una leggenda narra: "Nell'anno 300 dell'era volgare, un cavaliere percorse di volo quella pianura. Le zampe ferrate del suo cavallo, nero come l'ebano, sprigionavano fasci di scintille dalla terra. Le fanciulle avellane fissarono su di lui cupidi occhi; ma il suo cuore non ebbe un palpito per esse. Era bello e prestante, era figlio del Re di Persia e si nomava Cofrao. E bella era la sua Bersaglia, ma di umile condizione. Il suo occhio aveva il guardar dolce della gazzella; le sue chiome bionde le scendevano intorno al collo candido come neve; la sua voce era soave, come i concenti della lira. Fuggitivi dalla Persia, col loro schiavo preferito Eraclione, vagabondi per contrade diverse, trepidi nella gioia del presente, immemori del passato, cercarono un nido per covare a primavera del loro amore, e lo trovarono su quella collina e vi fabbricarono quel Castello, che risuonoÌ sovente di celesti accordi. Là, su quel poggio, fra lo smagliante oleazzare dei fiori, fra il sorriso del cielo, fra il verde dei prati ed il canto degli uccelli, con le farfalle, fior alati dell'aria, con la mitezza limpida del cielo, con la quieta serena della campagna, con la gioventù fervida degli anni, nel palpito unisono de' cuori a contare le stelle col numero dei baci, a narrarsi i sogni, a farsi sorprendere dal sole nel torpore dell'alba e nello spasimo degli abbracciamenti, si amarono di quell'amore al quale non si sopravvive. La morte è compagna dell'amore: Bersaglia morì e Cofrao, per dimenticare quei luoghi, testimoni delle sue gioie passate e dei suoi presenti dolori, decise di far ritorno in Persia. Di notte, mentre scendeva dal Castello, udiÌ, fra le ombre silenti, una fioca melodia, che gli giunse per gli orecchi dell'anima. Cofrao dimenticoÌ tutto e fece per avviarsi al luogo; solo una pezzuola bianca, intrisa di sangue, stava per terra. Il cavaliere la raccolse e vi lesse: "compagni in vita, saremo compagni anche in morte". Il cavaliere girò gli occhi e rimase attonito; che erano quei sarcofagi? Ne stava uno aperto soltanto, dal quale usciva un dolce lamento. Cofrao si appressò, gettò tremendo uno sguardo entro quel sarcofago e vi cadde tramortito. Quel sarcofago li chiude ora entrambi. Colla bocca, appoggiata a quella pezzuola."
Fonte: "comune.avella.av.it - mandamentonotizie.it"
Fonte immagine: "comune.avella.av.it"