Castel Capuano è, dopo Castel dell'Ovo, il più antico forte di Napoli. Secondo la tradizione, fu fondato nel 1140 dal Re di Sicilia Guglielmo I il Malo, figlio di Ruggero il Normanno, per difendere la vicina Porta Capuana la cui strada portava a Capua. Nel 1231, Federico II di Svevia lo trasformò in una vera e propria dimora regale e tale rimase anche sotto gli Angioini, sebbene la corte avesse scelto Castel Nuovo come sua dimora, tant’è che continuò ad ospitare personaggi illustri, come Francesco Petrarca. Fu poi a partire dal 1540, con l’inizio dell’epoca vicereale, che vi fu allestito il Palazzo di Giustizia ed i suoi sotterranei trasformati in prigione. E fu proprio come sede del Tribunale (detto “della Vicaria”) che per i suoi corridoi passarono storie tragiche e non sempre chiarissime, come quella di Giuditta Guastamacchia. Siamo negli anni della Rivoluzione Napoletana e la donna si era innamorata di un sacerdote. Il padre di lei, per mettere a tacere la torbida tresca, la costrinse prima a sposare un giovane - che morirà lontano dal Regno dopo essere stato costretto alla fuga per una frode - e quindi la rinchiuse nel Monastero di Sant’Antonio alla Vicaria. Dopo svariati anni, quando la tenace Giuditta uscì dal Convento, il suo amore non era certo affievolito, né tanto meno quello del suo proibito amante; decise così di andare a vivere a casa di lui, che per evitare le malelingue la diede in sposa ad un suo giovanissimo nipote. Ma questi non accettò mai la situazione e minacciando di denunciare la tresca proibita, andò incontro a morte sicura. Infatti, per evitare di essere scoperta, Giuditta iniziò a diffondere la voce di essere stata derubata e malmenata dal giovane sposo. Il padre, venendo in soccorso alla figlia, cedette alle sue richieste ed uccise il di lei marito. Il cadavere fu fatto a pezzi, smembrato e martoriato, per non essere riconosciuto. Il padre ed un suo complice, nel trasportare i macabri resti del corpo, furono scoperti dalla guardia reale. Il tutto venne alla luce, assieme ai truculenti e sordidi particolari e, dopo un sommario processo, furono tutti condannati a morte, eccetto il sacerdote. All’alba del nuovo secolo, nell’aprile del 1800, Giuditta fu impiccata e le furono amputate testa e mani, che furono esposte poi sulle mura del Tribunale. Da allora, si dice che il 19 Aprile di ogni anno, il suo fantasma si aggiri per le stanze dell’antichissimo Castello in cui fu processata. La struttura affaccia sul Decumano Maggiore (via dei Tribunali) e su piazza Enrico de Nicola, nel mezzo del centro storico cittadino. Al suo interno, sono da visitare: il Salone della corte d'Appello, che conserva vari affreschi; la Sala dei Busti, che conserva busti di marmo degli avvocati più famosi dell'antico foro di Napoli ed altri affreschi; la Cappella della Sommaria, anch'essa ricca di molte opere d'arte; la Biblioteca De Marsico, che in età borbonica fu la sala di udienza della Gran Corte Criminale.
Fonte: "grandenapoli.it"
Fonte immagine: "napoli-turistica.com – panoramio.com"