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Basilica di Sant'Antonino

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Descrizione

L'origine della Basilica sembra riconducibile all’XI secolo, anche se già verso il IX secolo esisteva in quel luogo un Oratorio dedicato a Sant'Antonino. Retta prima da un Arciprete e poi da un Rettore nominato dal Re, nel 1378 fu istituita, presso la Chiesa, la Confraternita dei Battenti, un movimento ereticale diffusosi a Napoli tra il XIII e il XIV secolo. Più tardi, l’edificio di culto e l’annesso Convento vennero affidati ai Padri Teatini; la Basilica fu restaurata da questi ultimi secondo i canoni della Controriforma. Essi riedificarono completamente la facciata con portico e campanile nelle linee ancora oggi riscontrabili e costruirono la casa religiosa con orto e discesa a mare, attualmente Casa Comunale. La situazione rimase invariata fino al 1866, anno in cui, a causa della soppressione dei monasteri, i Padri dovettero abbandonarlo. In seguito, la Basilica fu nuovamente affidata ad un Rettore. L'alternarsi dei colori del tufo giallo e grigio sono un richiamo eloquente a quella diffusa tarsia di influsso bizantino e arabo che si riscontra in vari monumenti campani e del Mezzogiorno e di cui questa di Sorrento è una delle testimonianze più antiche. Queste e le altre decorazioni in tufo, non visibili dalla strada e poste sul lato meridionale, danno un'idea di quello che doveva essere l'aspetto primitivo della facciata. Dalla Chiesa si può accedere nella cripta sotto il cui altare è collocato il sepolcro di Sant'Antonino. Qui si possono ammirare i numerosissimi “ex-voto” dei marinai che tappezzano le pareti dell'ambiente. La Basilica, nonostante i rifacimenti ed i restauri attuati tra il ‘700 e l'Ottocento (ad esempio il consistente addobbo settecentesco di stucchi), ha conservato l'impianto a tre navate, con pianta a croce latina. Presenta diversi elementi di spoglio, come i fusti delle colonne provenienti probabilmente, per la loro particolare uniformità, dal portico di una delle molte ville romane presenti nella zona di Sorrento. Sono da ricordare le due tele di Giacomo del Pò, che descrivono la “Peste” del 1656 e “L'Assedio” della città da parte delle popolazioni dei Casali, guidate dall'agitatore genovese Giovanni Grillo (1648); bella anche la tela al soffitto, di autore ignoto, raffigurante “Sant’Antonino” nell'atto di liberare dal demonio la figlia del Principe Sicardo di Benevento. La navata centrale ha un soffitto a cassettoni dipinti su tela con rosoni in legno dorato. Nella navata laterale di destra è da segnalare il dipinto del secondo altare, raffigurante “Sant'Andrea d'Avellino”, di scuola napoletana del XVII secolo. La navata laterale di sinistra è dedicata a San Gaetano; da qui si accede agli ambienti della sagrestìa, dove si conservano vari “ex-voto”, il presepe con pastori napoletani del ‘700 e ‘800 della scuola del Sammartino (dono del poeta sorrentino Saltovar), i frammenti di un antico ed elaborato pavimento maiolicato ed una pregevole statua d'argento raffigurante “Sant'Antonino”. Molto interessante è il portale meridionale di forme bizantino-romaniche risalente al X secolo: esso è fiancheggiato da due colonne marmoree di giallo antico, con capitelli corinzi che reggono un architrave formato da un avanzo di cornicione della stessa epoca, che fa da sostegno ad una lunetta al cui centro è una croce greca. Ogni anno, il 14 febbraio, tutta la città di Sorrento celebra la morte del Santo Patrono, avvenuta lo stesso giorno del 625. Alla vigilia della festa, dalle prime ore del mattino, la prodigiosa statua argentea a lui dedicata viene esposta sull’altare maggiore della Basilica. Fu commissionata dagli abitanti della Terra delle Sirene, dopo che i sopravvissuti alla devastazione ed al rapimento operato dai Saraceni il 13 giugno del 1558 attribuirono l’essere riusciti a scampare ad una così terribile esperienza al miracoloso intervento protettore di Sant’Antonino. I cittadini sorrentini, pur non essendo riusciti a mettere insieme la somma necessaria per pagare l’opera, si recarono da un artista napoletano, Scipio di Costantio, che era considerato tra i più bravi del tempo. A dispetto delle ambiziose speranze, però, la raccolta dei fondi incontrò notevoli difficoltà. Secondo i racconti, poco tempo dopo, lo stesso artista ricevette la visita di un Monaco che aveva lo stesso aspetto di quello raffigurato nei disegni e fu proprio questi che consegnò all’orafo la cifra mancante per ultimare il pagamento della statua, consegnando una borsa colma di denaro. Il tutto all’insaputa dei sorrentini. Intanto, soddisfatto nelle sue pretese finanziarie, il maestro orafo si mise all’opera e realizzò l’opera che nessuno si affrettava a ritirare. Solo dopo qualche tempo, compiendo sforzi superiori perfino alle loro capacità, i sorrentini riuscirono a raggranellare un importo ritenuto capace di soddisfare, almeno in parte, la richiesta dell’artista. Grande fu lo stupore che li colse quando ebbero modo di apprendere cosa era successo e di capire che era stato proprio Sant’Antonino a manifestarsi, a provvedere al pagamento e, in questo modo, a dimostrare l’affetto nutrito verso di loro. Per questa ragione, desiderando una traccia tangibile dell’avvenuto prodigio, gli abitanti della Penisola Sorrentina ordinarono di realizzare una borsa (d’argento) che fu collocata ai piedi della statua. Il resto dei soldi raccolti fu utilizzato per adornare ulteriormente la Basilica e per opere di pietà. Era il 1564, dalla data della devastazione di Sorrento erano trascorsi 6 anni.
Fonte: "sorrentoholiday.info - fondazionesorrento.com"
Fonte immagine: "sorrentoreview.com - surrentum.com"

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