Splendido esempio di architettura longobardo-bizantina, la Basilica di San Ferdinando è ubicata nei pressi del cimitero di Alvignano. In un primo momento si ritenne che potesse trattarsi di un edificio databile al tardo IV secolo o al principio del V secolo (paleocristiano); oggi, invece, dopo un più attento esame, si ritiene che la collocazione di tale fabbrica debba essere attribuita al periodo della dominazione longobarda, tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX secolo. La struttura muraria della Chiesa, infatti, è estremamente povera, a differenza di quella regolare e curata usata nel IV-V secolo: ne è un esempio la decorazione, o meglio, il gioco dei decori della pavimentazione formato con mattoni, che indica appunto una rozzezza di esecuzione. Inoltre, fu forse costruita sui resti di un antico tempio romano dove si pregava la Dea Bona; in seguito, intorno al 1300, fu dedicata a San Ferdinando d’Aragona, di sangue reale spagnolo, Vescovo di Caiazzo (XI secolo). La Basilica è a tre navate, precedute da un atrio, lunghe 19,90 metri e divise da sette archi a tutto sesto, di 2 metri di larghezza per 4 metri di altezza, realizzati in mattoni. L'abside, cieca, è perfettamente semicircolare e ha un diametro interno di sei metri. Ad ogni navata corrisponde in facciata una porta di ingresso listata in mattoni. Su quella della navata centrale si erge un protiro. Le finestre, monofore arcuate con mattoni, sono tre in facciata principale e sette per ciascun lato della navata centrale. Esse sono parzialmente chiuse da transenne in stucco. All'interno della Basilica sono ancora visibili tracce di pavimento caratterizzate da mattoncini e mosaici, costituiti da frammenti di marmo irregolari e un caratteristico mosaico rappresentante un fiore a sei petali, di fattura longobardo-bizantina. La Basilica possedeva anche una “Schola Cantorum”, ma l'unica cosa rimasta di essa sono i frammenti della sua recinzione marmorea. Curioso è l’aneddoto del ritrovamento del corpo di San Ferdinando, dopo secoli di abbandono. Durante i lavori della mietitura nella campagna alvignanese, alcuni contadini posero una botte di vino sopra una pietra all’ombra della Basilica diruta. Il vino, perciò, avrebbe traboccato dalle congiunture tra le doghe della botte. Spostatala da quel luogo, non avrebbe emesso più alcuna goccia e ripetuto più volte l’esperimento si riconobbe la natura miracolosa del fenomeno. A tal notizia stupefacente giunsero sul luogo il Vescovo caiatino con il clero e facendo rimuovere la pietra si rinvenne la sepoltura dimenticata di San Ferdinando. Molti furono gli impedimenti soprannaturali del Santo per non far trasferire le sue reliquie nella cattedrale di Caiazzo, così furono riposte sotto l’altare maggiore della Basilica di Santa Maria in Cornello. Nella tradizione locale, al Santo si ricorreva soprattutto contro le pestilenze e le febbri, ma probabilmente il suo più grande miracolo fu la liberazione di Alvignano dalla famosa peste del 1656, che colpì tutto il Regno di Napoli. Si racconta che durante l’epidemia, la Basilica di San Ferdinando fosse illuminata di notte da una luce soprannaturale, a conferma della sua protezione. La devozione degli alvignanesi e dei dragonesi fu talmente grande che i Re aragonesi, nel 1443, concessero loro una fiera da tenere la seconda domenica di luglio. Anticamente, questa si svolgeva nello slargo davanti la Basilica, dove accorrevano mercanti da tutto l’alto casertano, ma non pochi furono i conflitti di giurisdizione su quel luogo tra la Mensa vescovile e il Comune di Alvignano, che vantava “ab immemorabili” di accollarsi le spese per la manutenzione della Chiesa e per la festa, con tanto di fuochi d’artificio.
Fonte: "alvignano.gov.it - clarusonline.it"
Fonte immagine: "panoramio.com"