Eretta nel 1602 insieme al vicino Convento dei Domenicani, la Collegiata del Santissimo Rosario si trova nel centro storico. Ha subìto diversi rimaneggiamenti e fu restaurata da ultimo nel 1989, a seguito dei danni subìti dal terremoto del 1980. Presso il Museo di Capodimonte, dove era stata portata per la memorabile mostra sulla “Civiltà del Seicento a Napoli”, è ancora depositata (ormai da diversi anni), in attesa di essere riposta nell’originaria collocazione, la grande pala d’altare raffigurante la “Madonna col Bambino e i Santi Domenico e Gennaro”. Il dipinto, realizzato nel 1638 dal pittore emiliano Giovanni Lanfranco per la Certosa di San Martino a Napoli, pervenne alla fine del secolo scorso, dopo una lunga serie di vicissitudini, alla Chiesa del Rosario di Afragola, dove occupava l’abside retrostante l’altare maggiore. La sua realizzazione, originariamente concepita - come si legge nella convenzione stipulata tra il pittore e il procuratore dei Padri Certosini - con le figure “... di Santo Ugo et Santo Anselmo et sopra la Madonna Santissima con il bambino con qualche puttinello...”, cade nel periodo di un’accesa lite giudiziaria, durata diversi mesi, tra i Certosini e l’artista in merito al pagamento dei lavori ad affresco, eseguiti in precedenza da questi nella Chiesa; ragion per cui, non essendo addivenuti a un accordo, “... per differenza con quei Padri, egli ne fece dono alla Chiesa di Sant’Anna della sua natione lombarda” (Bellori, 1672), “... ove fu esposto, e veduto da tutta la Città” (Passeri). Più tardi, essendo venuta in possesso della potente famiglia veneziana dei Samueli la Cappella dove era posto il dipinto, questi fecero mutuare i due Santi Certosini in San Domenico e San Gennaro, dal pittore napoletano Luca Giordano, “il quale cosi bene imitò la maniera di Lanfranco che non è possibile che si possa conoscere da chi nol sa...” (Celano, 1692). Dopo il crollo della Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, nel 1798, la pala - che occupava l’altare del transetto sinistro - passò di proprietà a privati, per poi essere successivamente acquistata, nel 1899, dalla Chiesa del Rosario, su proposta del Saquella, studioso d’arte dell’epoca. Il culto della Madonna del Rosario, cui si riallaccia il soggetto del dipinto, si fa risalire a San Domenico, al quale, secondo gli storici dell’ordine da lui fondato, in una notte del 1208 circa, mentre era in preghiera in una Cappella di Prouille, presso Albi (Francia), sarebbe apparsa la Vergine consegnandogli una coroncina che egli chiamò “la corona di rose di nostro Signore”. Sicché la composizione lanfranchiana, pur tenendo in debita considerazione che era stata originariamente concepita per celebrare un’altra devozione e che successivamente aveva subìto delle modificazioni per adattarla alla sua nuova veste, propone, in aderenza al racconto domenicano, la Vergine seduta su un gradino, col Bambino che offre la corona a San Domenico, inginocchiato ai loro piedi; a questi si contrappone, sull’altro lato, San Gennaro, vestito dell’abito vescovile. Tutt’intorno, degli angeli si librano nell’aria. Dalle “Memorie storiche del Comune di Afragola” di Giuseppe Castaldi, edito nel 1830, si apprende che sotto la superficie della città se ne snoda una sotterranea, formata da grotte vaste e da anfratti minuscoli, che collegano fra di loro varie zone di Afragola. Ogni palazzo gentilizio aveva la sua grotta, che era tanto profonda quanto più alto era il palazzo stesso; questo perché l’edificio veniva costruito con i materiali sotterranei, e dunque sotto restava il vuoto. Anche sotto la Chiesa del Rosario vi è uno spazio sotterraneo, un sistema di cripte, in cui anticamente, prima dell’editto di Fontainebleau (1804), venivano sepolti parroci, collegiati e notabili. La cripta del Rosario, visitabile previo il permesso del Parroco, è posta circa 5 metri sotto il piano di calpestìo e consta di vari ambienti, tutti nati dall’esigenza di dare sepoltura privata ai morti appartenenti alle famiglie con giuspatronato laico, cioè famiglie che possedevano una cappella in Chiesa e potevano farvi celebrare una messa tutta per sé, da sacerdoti scelti da loro. Di tali cappelle, quella più importante della Collegiata del Rosario è la Castaldi, con probabilità la prima a dotarsi di una cripta sotterranea, coeva alla costruzione dell’edificio sacro (XVII secolo). Le cripte del Rosario si sviluppano in maniera longitudinale, a partire dalla cappella Castaldi, la terza a destra e la più riccamente decorata, per terminare sotto la sagrestìa. Oggi, l’accesso alla cappella Castaldi è tappato da una lastra trasparente, e dunque si può scendere solo da quello della sagrestìa. Superata una stretta scala, si accede a un vasto ambiente umido e freddo, con un piccolo altare e alcune lapidi commemorative. Da qui parte un corridoio che immette nelle sale adiacenti, tutte aerate da una finestrella che collega allo spiazzo a lato della Chiesa, e tutte caratterizzate da una lunga fila di sedili di pietra, con un foro al centro, che corrono lungo il perimetro di due delle tre stanze successive. Sono i colatoi, su cui erano adagiati i defunti, seduti: attraverso il foro centrale, i liquidi corporei del defunto scorrevano in un canaletto che portava a un foro, ancora visibile in mezzo alla stanza, collegato alla fogna. Dopo un periodo variabile, che poteva durare anche diversi mesi, il corpo rinsecchito del morto veniva sepolto. Si cercava così di ritardare il deformarsi dei volti dei defunti, in modo da ottenere un processo simile all’imbalsamazione (la scarsa umidità dell’ambiente sigillato non permetteva la proliferazione di batteri aerobi). Nella terza sala, al centro, è presente un contenitore trasparente che contiene ossa e teschi umani, forse antichi ospiti dei colatoi, e lì lasciati per pietà cristiana. Il quarto ambiente conduce alla scala che sale alla cappella Castaldi. C’è anche una quinta stanza, però sigillata, che porta direttamente sotto l’altare maggiore.
Fonte: "iststudiatell.org - lafragolanapoli.it"
Fonte immagine: "lafragolanapoli.it - lookaroundafragola.wordpress.com"