La Chiesa di San Giorgio Maggiore (ai Mannesi) rappresenta una rilevante testimonianza dell’arte paleocristiana a Napoli. Costruita fra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C., per tutto il Medioevo fu una delle quattro parrocchie della città, divenendo l’edificio di culto e di devozione locale tra Forcella e Spaccanapoli. Inizialmente fu chiamata “La Saveriana”, appellativo derivante dal nome del Vescovo che volle erigere la Chiesa: San Saverio di Napoli. Il suo culto, secondo una leggenda, pare che sia legato al “primo miracolo” di San Gennaro: la “liquefazione dei santi grumi”. Le sue spoglie risalgono al V secolo d.C. e furono scoperte presso le Catacombe nel cuore della Sanità, da Gennaro Aspreno Galante nel 1867. Queste furono traslate in San Giorgio Maggiore, dove tutt’ora sono conservate gelosamente, sotto la mensa dell’altare maggiore; insieme ai resti mortali è custodito anche il famoso Battistero, considerato il più antico d’Occidente ed il più importante di Napoli. La Saveriana, durante il IX secolo, fu intitolata al grande martire guerriero San Giorgio, una delle figure cristiane più importanti e suggestive, legata al mito del Drago; il culto di San Severo venne così sostituito da quello di San Giorgio. La Chiesa, di impianto basilicale, nel corso dei secoli è stata oggetto di diversi lavori di ristrutturazione. Nel 1640, un terribile incendio distrusse una buona parte dell’edificio; intervenne Cosimo Fanzago, che invertì l’ingresso del tempio rispetto all’originale pianta paleocristiana. Nel 1694, un terremoto compromise la struttura architettonica e, quindi, fu nuovamente rimaneggiata. Nel XIX secolo, la navata di destra fu del tutto abbattuta per permettere l’allargamento della strada su via Duomo, che tempo prima risultava essere un vicolo secondario. Oggi, la Chiesa si presenta con due navate, di cui quella centrale più ampia. L’abside arcuata, aperta e ingentilita da due archi che si aprono su tre colonne molto antiche, presenta chiari rimandi paleocristiani, riportanti capitelli di ordine corinzio e stemmi cristiani. Le mura, spoglie e prive di pitture, rivelano i segni del tempo di magnifica bellezza. Particolari sono le lavorazioni dell’altare maggiore e dell’antico sedile del Santo, con marmi e stucchi di pregevole manifattura. Fra le opere custodite si contano gli affreschi giovanili di Francesco Solimena, alcune tavole pittoriche in stile bizantino, un crocifisso ligneo del 1200, l’altare maggiore di impianto rettangolare e stretto da un fascio di colonne bianche disposte a semicerchio. Il tesoro nascosto della Chiesa di San Giorgio Maggiore è però custodito alle spalle dell’altare e rivela qualcosa di sorprendente e misterioso. Qui si possono ammirare due capolavori della pittura napoletana del Seicento, opere di Alessio D’Elia, legato alla grande scuola di Francesco Solimena: la tela a destra raffigura il ciclo di battaglia di “San Giorgio e il Drago”; quella a sinistra ha come soggetto la vita di San Severo. Ma la sorpresa è celata dietro al dipinto di San Giorgio: dopo un recente restauro che ha visto impegnato la parte del coro, si è notato che sotto al quadro si trovava un bellissimo affresco, ancora integro e dai colori brillanti. Trattasi di “San Giorgio e il Drago” di Aniello Falcone, databile attorno al 1645, un’opera carica di forza emotiva e di impatto suggestivo, che descrive con pochi e chiari elementi le atmosfere del mito medioevale. La leggenda popolare racconta di San Giorgio che arriva nella città di Selem (Libia), inviato da Dio, pronto a liberare la popolazione dalle grinfie del Drago. Per placare la sua ira, gli abitanti del luogo gli offrivano del cibo: prima due pecore al giorno, poi, quando queste iniziarono a scarseggiare, furono costretti a offrire un giovane pescato a sorte. Un giorno fu estratta la figlia del Re, ma quest’ultimo si contrappose al volere del popolo; la gente si ribellò ed il Re dovette rinunziare alla sua bella figlia, per poter salvare il suo regno. Mentre la giovane veniva condotta nell’antro del Drago, si precipitò al galoppo San Giorgio, che proclamò il suo annuncio: “Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal Drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro”. Uccisa la bestia, il regno fu salvo e la gente convertita. Padrone della scena dell’affresco è il bianco cavallo impennato, guidato dallo spavaldo guerriero San Giorgio che, con una lancia acuminata, trafigge la creatura mostruosa dritta alle sue fauci. Il Drago è ritratto come una bestia stravagante, di pura fantasia, e innanzi ai suoi piedi giovani innocenti ridotti in carcasse. Alle spalle, in secondo piano, una donna fugge in preda alla paura. Anche sulla figura di Aniello Falcone circolano alcune leggende: secondo la fantasia dello storico dell’arte e pittore Bernardo De Dominici, Falcone era coinvolto in un giro di cospiratori e aveva fondato la “Compagnia della Morte”, per vendicare la dipartita di un suo amico. Si narra che di questa Compagnia facevano parte molti artisti e ribelli, tra questi Masaniello: “...armati di tutto punto, di giorno giravano uccidendo quanti più spagnoli avessero incontrati, e di notte attendevano a dipingere alacremente”. Quando poi il Regno di Napoli fu conquistato dagli Spagnoli, nel giro di poco la bottega pittorica di Falcone (molto viva e fiorente) venne sostituita da quella del suo allievo Luca Giordano. La verità è che esisteva una Compagnia della Morte in città, ma comparve solo nel 1650, e ne fecero parte molti criminali, ladri, imbroglioni e non certo pittori.
Fonte: "grandenapoli.it"
Fonte immagine: "minube.it - vesuviolive.it"