La Basilica di San Giovanni Maggiore fu inserita fra le quattro chiese maggiori (o cardinali) della città, fondate fra il IV ed il VI secolo d.C., insieme a San Giorgio Maggiore, i Santissimi Apostoli e Santa Maria Maggiore detta della Pietrasanta. Essa contiene tracce di tutte le epoche che ha attraversato sin dalla sua fondazione, avvenuta intorno al II secolo d.C. come tempio romano. Il primo a volere una costruzione in questo stesso luogo fu infatti l’Imperatore Adriano, nella forma di un tempio dedicato ad Antinoo, giovane greco originario della Bitinia, noto per la relazione sentimentale ed amorosa avuta con l’Imperatore. Dopo l’editto di Costantino, che nel 313 concesse la libertà di culto anche ai cristiani, il tempio venne trasformato in una Chiesa, dedicata ai Santi Giovan Battista e Lucia a seguito di un voto fatto dall’Imperatore e da sua figlia Costanza, dopo essere scampati ad un naufragio nel mare di Sicilia. Ancora oggi, due statue all’interno della Chiesa ricordano i due antichi Romani. Nel VI secolo, il Vescovo Vincenzo rivoluzionò completamente la struttura della Basilica. Egli decise di recuperare alcuni elementi del tempio pagano per armonizzarli con la pianta della fabbrica: un esempio è dato dalle colonne in marmo cipollino sormontate da capitelli corinzi e da monchi architravi, incorporate nell’abside. Inoltre, arricchì gli interni con degli ornamenti d’argento e fece costruire degli edifici intorno alla Chiesa per ospitare i preti che la officiavano. Nel 1635, un forte sisma la rovinò tanto da spingere il Cardinale Marzio Ginetti a ricostruirla a sue spese, secondo il progetto barocco dell’Architetto Dionisio Lazzari. In questo rifacimento, che interessò principalmente il transetto e l’edificazione della cupola, furono trovate due tavole dell’antico Calendario della Chiesa Napoletana, inciso nell’anno 877 ed ora conservate nell’Arcidiocesi di Napoli. Nel 1732 e nel 1870, altre due scosse di terremoto portarono di nuovo in rovina l’edificio: il Municipio voleva quindi abbatterlo, per trasformare lo spazio in una piazza, i fedeli e le famiglie nobili della zona invece, sotto la guida del canonico Giuseppe Pellella, raccolsero il denaro sufficiente a tutelare l’integrità della Basilica e a concretizzarne la sua ricostruzione, iniziata nel 1872 e conclusa 15 anni dopo. Nel 1972, la volta cedette lasciando l’edificio chiuso per 42 anni: abbandonata e sconsacrata, la Chiesa fu oggetto di furti di opere preziose, venne pesantemente danneggiata fino ad essere trasformata in una illegale fabbrica di borse. Dopo numerosi restauri, la Basilica è stata riaperta nel 2012 grazie anche all’intervento dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli, a cui è stata data in gestione. Una consolidata tradizione vuole che il luogo dove si trova attualmente la Chiesa, prima vicino alla costa, ospitasse la tomba della sirena Partenope, da cui presero spunto i coloni greci per il nome dell’antica Napoli. C’è una piccola lapide, che ha probabilmente 1300 anni, su cui è scritto: “Creatore di tutte le cose, altissimo, proteggi felicemente Partenope”, invocando San Gennaro, o forse San Giovanni; è la prima testimonianza storica dell’identificazione ufficiale di Napoli con il nome di Partenope. Sulla controfacciata si può ammirare il grande dipinto murale illustrante la “Predicazione del Battista”, eseguito da Giuseppe De Vivo nel 1730. Dietro le immense statue di Costantino e della figlia, si trova una porticina che conduce in una stanza segreta, grande poco più di 1 metro quadrato, al cui interno si trova solo una fontana con figura assai minacciosa. Ma è nel sottosuolo che si scoprono le cose più incredibili: scendendo per una scala stretta e bassa, si accede ad un immenso e silenzioso labirinto di morte, con pareti bianche e stanze murate che nascondono gli uomini qui sepolti; sono stati trovati anche teschi di bambini e neonati. Qui sono anche ospitati diversi frammenti di un organismo, la Basilica di San Giovanni Maggiore, che riveste una fondamentale valenza storica, artistica e architettonica all’interno del tessuto urbano cittadino.
Fonte: "storienapoli.it"
Fonte immagine: "napoli.repubblica.it - storienapoli.it"