Gli scavi archeologici, condotti nei territori di Carife e Castel Baronia a partire dal dopo terremoto del 23 Novembre 1980, hanno evidenziato la presenza di ben tre necropoli sannitiche: una in località Serra di Marco (Castel Baronia) e due in agro di Carife (Piano la Sala e Addolorata). Lo scavo, resosi necessario per esplorare preventivamente le aree destinate alla ricostruzione, ha permesso di portare alla luce centinaia di sepolture, offrendo la più ricca documentazione sul Sannio meridionale e sugli “Hirpini” che abitarono questo territorio. Il Professor Werner Johannowsky, che ha diretto gli scavi fin dall’inizio, ha maturato la convinzione che qui si trovava la famigerata “Romulea”, saccheggiata e distrutta dai Romani nel 296 a.C. (da Tito Livio X, 17). Questa località era stata menzionata già da Stefano Bizantino, come “Città dei Sanniti in Italia”. Il nome di “Sub Romula” sopravvisse in seguito, negli Itinerari, come stazione della Via Appia, il cui tracciato originario seguiva, sempre secondo il Professor Johannowsky, la valle dell’Ufita. Le sepolture fin qui rinvenute nelle tre necropoli sono riferibili ad un periodo che va dalla metà del VI agli inizi del III secolo a.C. Si sa ancora poco sugli insediamenti abitativi dei Sanniti, tranne che, secondo Livio, essi abitavano “vicatim”, cioè in piccoli villaggi rurali. I Sanniti/Irpini, in caso di necessità, si rifugiavano nella fortificazione collocata su un’altura meglio difendibile, in questo caso la Romulea. Le tombe sono costituite principalmente da due tipologie: “alla cappuccina”, con copertura a doppia fila di tegole; “a camera”, in blocchi di travertino con tetto spiovente e letto funebre. Alcuni tipi di vasellame sono presenti quasi in tutte le tombe (crateri, “guttus”, coppette, “oinochoe”, olle, “cantaroi”, “schiphoi”, patere ed altro). Non mancano oggetti in bronzo, quasi sempre di provenienza etrusca. Nelle tombe maschili è quasi sempre presente il cinturone di bronzo, il cui possesso, anche in età molto giovanile indicava che il personaggio godeva di tutti i diritti. Nelle tombe maschili non mancano il “culter tonsorius” (rasoio), le cuspidi in ferro di lance o giavellotti e, in quelle di personaggi della classe emergente, gli spiedi metallici. In qualche tomba era presente anche lo strigile, a documentare che il frequente contatto e gli scambi commerciali con i Greci avevano fatto nascere anche tra i Sanniti l’ideale dell’efebia. Nelle tombe femminili sono presenti fibule e monili di vario tipo, e non mancano elementi di ambra e di argento. Le tombe numero 89 e 90, sicuramente tra le più ricche indagate nel territorio, sono contemporanee e appartengono entrambe al V secolo a.C. Nella prima sono stati inventariati 22 reperti e ben 40 erano presenti nella seconda. Esse vennero fuori nel corso del 1985 ed erano “a fossa”, più profonde rispetto alle altre già recuperate in precedenza; contenevano entrambe un personaggio di sesso maschile, appartenente alla classe emergente, inumato in posizione supina. L’abbondanza degli oggetti e la raffinatezza complessiva di essi danno un’immagine assai positiva dei guerrieri sanniti, che si aspettavano di partecipare ai banchetti dell’oltretomba, ma non dimenticavano di essere giunti qui guidati da un lupo, nella tradizione del “Ver Sacrum”, o Primavera Sacra.
Fonte: "carife.eu"
Fonte immagine: "carife.eu"