L’Anfiteatro dell’antica “Allifae”, la cui esistenza era nota solo dalle fonti storiche, è stato individuato osservando le foto aeree della porzione orientale della città fuori dalle mura: il colore e il rigoglio dell’erba cambiava, in quella zona, mostrando una serie di setti radiali che disegnavano la metà di un ovale. Scavi archeologici di limitata estensione, promossi in occasione della posa di cavi telefonici nel 1987, hanno permesso di dare certezza agli indizi, mettendo in luce una serie di muri in opera incerta. Solo dal 2007, grazie ad un finanziamento ottenuto da fondi POR (Programma Operativo Regionale), è stata avviata una sistematica campagna di scavo archeologico, volta alla restituzione del monumento alla fruibilità pubblica. Durati due anni, i lavori hanno messo completamente in luce le fondazioni dell’Anfiteatro e parte dell’alzato. Inoltre, hanno permesso di rileggere il monumento più grande della “Allifae” romana: la struttura, a pianta ovale, aveva gli assi di 150 e 250 piedi romani (44,35 e 73,92 metri) ed era scandita da 66 fornici radiali, con una superficie di 7500 metri quadrati. L’altezza dell’edificio può essere solo ipotizzata ma, probabilmente, era compresa tra i 12 e i 20 metri. L’Anfiteatro, costruito con molta probabilità in età augustea, non ebbe vita facile; venne ristrutturato in due occasioni, in età claudia (41-54 d.C.) e nel secondo secolo d.C., quindi defunzionalizzato nel quinto secolo d.C. quando fu utilizzato, in parte, come necropoli. Nel periodo medievale si avviò la completa destrutturazione del monumento, prima riutilizzando parte dei fornici per realizzare precarie abitazioni, poi impiantando al centro dell’arena una grande fornace, per trasformare i blocchi calcarei del rivestimento dell’Anfiteatro in calce. Tale attività può forse essere collocata cronologicamente nel periodo di riorganizzazione urbana, operata dai conti Normanni dopo il 1060. Nel tredicesimo secolo, la struttura era praticamente demolita. La riforma di Augusto che riguardava i giochi gladiatori, nel I secolo, prevedeva una divisione in categorie degli stessi combattenti, quasi tutti appartenenti a popolazioni sottomesse dall’Impero Romano, ad eccezione però dei Sanniti, un popolo rude ma leale e forte che, avendo dimostrato grande devozione alle legioni nel corso della battaglia della Foresta di Teutoburgo nell’anno 9 d.C., a seguito del tradimento del Centurione Arminio, fu esonerato dai giochi per volere dello stesso Imperatore. In campo scendevano quindi i “mirmilloni”, uomini dotati prevalentemente di forza e potenza, che combattevano contro i “traci”, i quali sul cimiero avevano l’immagine di un animale mitologico (il grifone) ed erano dotati di uno scudo rettangolare e di una spada ricurva a “L”, la sica, che serviva a colpire lateralmente l’avversario. A questi si univa il “rezzarius”, dotato di rete e il tridente, che combatteva con il “secutor”, l’inseguitore dall’elmo strategicamente liscio per sfuggire alla presa della rete e colpire con la daga il suo avversario. A fine combattimento poi, per coprire il fetore di sangue, gli “spartiones” buttavano rose profumate sugli spettatori. Nell’Anfiteatro di Alife, le autorità prendevano posto nel “sacellum”, collocato proprio al centro dell’ellisse. La parte sottostante era considerata un luogo sacro dedicato a Nemesi, la Dea della giustizia divina; qui, i gladiatori ponevano una statua sull’altare perché in caso di morte non fossero comunque dimenticati, oppure lasciavano un’epigrafe, come testimonia una piccola incisione di due lettere, la “S” e la “P”, collocata su quel che resta di un pezzo di muro della struttura.
Fonte: "alifeturismo.it - ecampania.it"
Fonte immagine: "panoramio.com"